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Il cinema che riflette sul cinema è diventato negli anni un genere autonomo che ha al suo attivo molti esempi di grande valore artistico e che cresce nel tempo, in seguito all’ampliamento della memoria filmica individuale e collettiva. L’ultimo caso è The fabelmans dove Steven Spielberg rievoca la scoperta del cinema da lui fatta da bambino e la nascita della sua vocazione a fare il regista mosso da emozione, paura e meraviglia di cui i suoi famosi film saranno l’espressione più riuscita.
Il cinema di Hollywood viene evocato in maniera indiretta anche in Licorice Pizza, storia di formazione di due giovani nella California dei primi anni ’70 raccontata dal regista Paul Thomas Anderson. Ma il cinema viene evocato anche nello sperimentale Fairytale-Una fiaba dove Aleksandr Sokurov rappresenta in uno scenario da Purgatorio i grandi potenti del Novecento – Hitler, Mussolini, Stalin e Churchill – mentre interagiscono tra loro in attesa del giudizio di Dio e lo fa non mediante il ricorso alla tecnica del deepfake ma attraverso brevi frammenti di filmati di repertorio che tradiscono espressioni e tic dei personaggi esclusi dai cinegiornali di propaganda (il tutto tra citazioni di Dante e immagini evocanti quadri di Piranesi e di Bocklin, in una fantasia audiovisiva ricca di risonanze storiche ed emozionali). I tre film citati arricchiscono e aggiornano un genere che già aveva reso memorabile la rievocazione della vita e delle opere di Georges Mèliés realizzata da Martin Scorsese nel suo pirotecnico Hugo Cabret, un genere che aveva già avuto esempi di grande successo con Nuovo cinema Paradiso e La rosa purpurea del Cairo, per non parlare del meta-filmico Effetto notte di Truffaut.
Questo elenco adesso si aggiorna con l’appena uscito film del giovane regista Damien Chazelle intitolato Babylon, una grandiosa rievocazione del passaggio dalla Hollywood del muto a quella del sonoro, che esprime nostalgia per quel silent movie delle origini che esprimeva libertà ed inventiva prima di finire sotto il controllo delle major che richiedevano sceneggiature di ferro ben adatte alle chiacchiere del parlato. La memoria del cinema visto in passato si riflette nelle frequenti citazioni di scene famose contenute anche in film dove non ce le aspetteremmo, cosa che accade ad esempio nel bizzarro Antyterapia diretto nel 2014 dal polacco Bertzos Brzeskot dove, nel contesto di una beffarda satira dei centri terapeutici per la cura da dipendenze come l’alcolismo, viene riprodotta da uno dei pazienti la iconica scena di Shining nella quale Jack abbatte con l’ascia la porta del bagno dove si è rinchiusa la moglie terrorizzata dall’uomo.
Adesso il fenomeno mediatico nuovo è che citazioni o sequenze da film celebri rimbalzano anche nelle odierne serie televisive in più episodi, a riprova che gli autori di queste serie conoscono bene la storia del cinema e la omaggiano anche quando non rifanno in maniera seriale film vecchi presenti nella memoria degli spettatori. È quanto vediamo in una scena della serie Mindhunter andata in onda nel 2017, dove un docente di scienze comportamentali fa vedere agli allievi poliziotti una scena del classico Quel pomeriggio di un giorno da cani girato da Sidney Lumet nel 1975 per spiegare cosa fare e cosa non fare quando si è in trattativa con un delinquente che usa degli ostaggi per sfuggire alla cattura (nella scena proiettata nell’aula si vede un giovane Al Pacino braccato dagli agenti armati molto confuso e poco delinquente). Altre volte invece sono i generi con le loro regole a venir ricordati da uno dei personaggi come accade nella serie La casa di carta dove uno dei ladri spaventa un ostaggio dicendogli ‘Ti piacciono i film horror, vero? Ebbene in essi il tipo che si dichiara sicuro di sé e prende in giro gli altri impauriti sarà il primo a morire’ (come di fatto accadrà nella serie ricordata).
Più complesso è invece il caso delle citazioni di film presenti nella serie televisiva del 2022: Archive 8 – Universi alternativi, dove la vicenda horror su una setta satanica responsabile della morte di una giovane filmaker evoca (in un doppio piano temporale passato-presente attraverso il restauro di vecchie copie di cassette VHS) il clima e gli scenari di opere come Rosemary’baby e L’esorcista (e oltretutto fa anche vedere da un nastro recuperato alcune sequenze di Solaris di Tarkovskij che rispecchiano la condizione psicologica del protagonista). Infine una serie che è una ampia antologia di citazioni di film celebri è Stranger Things, ideata da Matt Duffer nel 2016, dove nel corso delle quattro stagioni finora trasmesse non c’è scena, battuta, gesto, situazione che non evochi in maniera esplicita o implicita film del periodo anni Settanta-Ottanta come E.T., Guerre stellari, Halloween e tanti altri titoli tra horror e fantasy (una cosa questa che non deve sorprendere se si considera che l’immaginario degli sceneggiatori della serie si è formato dalla produzione cinematografica di quegli anni). Sempre sul versante delle serie televisive vediamo un tentativo di metalinguaggio effettuato nella serie appena uscita Caleidoscopio creata da Eric Garcia dove, in base al principio formulato dai Godard che ‘in un film ci devono essere un principio, una metà e una fine ma non necessariamente in questo ordine’, la storia di una rapina dalla durata decennale viene scomposta in otto capitoli non-lineari che lo spettatore è libero di ricondurre a unità cronologica a suo piacere mettendo in ordine i diversi colori che connotano ogni momento della vicenda (potendo così scegliere tra il tempo lineare dei thriller classici e il modello destrutturato alla Pulp Fiction di Tarantino). Questo vuol dire che il cinema si nutre del cinema e che oggi anche le serie televisive attingono alla sua storia, vuol dire che i grandi registi sono tutti contemporanei tra loro con il risultato che tra il vecchio Il carretto fantasma di Sjöström e il nuovo Shining di Kubrick (che hanno in comune la scena di una porta sfondata a colpi di ascia, la stessa che rivediamo adesso citata anche nel polacco Antyterapia) intercorre quello che è il tempo eterno dell’arte e non quello cronologico della storia. Rivedere un film già visto in un precedente periodo della nostra vita ridisegna la nostra esistenza in virtù di quella fusione di rappresentabile e irrappresentabile che Giuseppe Martini ritiene essere una prerogativa dell’inconscio filmico. Dunque, fare un film presuppone la conoscenza di tutto il cinema del passato e non ammette improvvisazioni e velleità pseudoautoriali che tanto male fanno alla salute della settima arte (come dimostrano tanti titoli in circolazione opera di giovani ignoranti in materia e ‘inconscienti’ cioè privi di un inconscio significativo).